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Immagine del redattoreFederico Triulzi

Riciclaggio e Criptovalute



L’espansione vertiginosa del mercato on-line unita al crescente interesse, ciclicamente espresso da parte dei maggiori player del mercato, per il fenomeno delle criptovalute, hanno reso di dominio pressoché pubblico non solo l’esistenza ma anche le concrete possibilità di utilizzo di monete virtuali.

Le Virtual Money, fra le quali i Bitcoin e Litecoin sono le più diffuse, vengono descritte dall’Autorità di Vigilanza Europea come una forma non regolamentata di valuta digitale, emessa e controllata da chi la conia, adoperata dagli utenti della comunità virtuale, acquistata con moneta avente corso legale e ottenuta mediante l’espletamento di specifiche attività online.

In termini prettamente pratici, la moneta virtuale viene acquistata su una piattaforma di scambio per poi confluire in un cosiddetto portafoglio elettronico, mediante il quale i titolari possono non solo inviarla a chiunque, ma anche riconvertirla in moneta avente corso legale. Tali operazioni sono rese possibili attraverso l’utilizzo di un software specializzato, il quale, risolvendo particolari algoritmi, conferisce alle stesse un discreto grado di sicurezza.

È importante sottolineare quanto riferito a proposito delle monete virtuali dal Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI): mentre il denaro tradizionale, conosciuto in forma di moneta o banconota, è riconosciuto ed accettato quale mezzo di pagamento legale nello Stato stesso cui esso circola, anche nell’ipotesi in cui tale valuta sia dematerializzata o espressa in maniera digitale, ciò non può dirsi delle monete virtuali, in quanto la capacità di acquisto delle stesse dipende unicamente dal consenso delle parti che decidono liberamente di farne uso.

Anche la Banca d’Italia, nel definire la moneta virtuale, riprende la definizione tecnica data dall’Autorità di Vigilanza Europea ma completa la descrizione evidenziando la caratteristica del potenziale anonimato dei titolari dei portafogli elettronici, nonché dei soggetti coinvolti nelle transazioni.

Ebbene, appare del tutto evidente, già nei termini di cui si è trattato, che la moneta virtuale, il cui valore è indipendente da un bene materiale e il cui l’utilizzo dipende esclusivamente dall’accettazione delle parti impiegate nella transazione, non vengono emesse, e di conseguenza garantite, da banche centrali o da enti pubblici, bensì da soggetti privati in forma individuale o collettiva.

Valutando la fattispecie all’interno delle norme dell’ordinamento italiano, al fine di valutare quali fattispecie criminose potrebbero essere integrate, la principale problematica riguarda la circostanza che la rete di valute virtuali, atteso il sostanziale anonimato delle transazioni in essa compiute, potrebbe prestarsi ad essere utilizzata per transazioni commesse da attività criminali, incluso il riciclaggio di denaro.

Sotto tale aspetto, la Direzione investigativa antimafia ha evidenziato, in una recente relazione al Parlamento, come dalle indagini compiute emerga un sempre maggiore interesse da parte della criminalità organizzata alle nuove forme di pagamento con criptovalute.

In questa sede assume quindi preponderante rilievo la configurabilità dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio nell’impiego di monete virtuali, nonché la possibilità di chiamare a rispondere quali concorrenti nel reato, sia il wallet provider sia l’exchanger.

Il reato di riciclaggio consiste nel compimento della condotta idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, mentre nel reato di autoriciclaggio l’agente (cioè chi commette l’azione delittuosa) si identifica nell’autore o concorrente del reato presupposto che re-immette nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro di provenienza illecita con un concreto effetto dissimulatorio sulla provenienza dello stesso.

Nel caso in esame occorre, quindi, interrogarsi se un’operazione di compravendita di monete virtuali, possa integrare i reati descritti e se vi siano gli estremi di un’imputazione a titolo di concorso all’exchanger e al wallet provider.

È noto che molti detentori di monete virtuali vendano le stesse privatamente, ovvero senza l’intermediazione di un soggetto sottoposto a controllo di un’autorità di vigilanza. In tale caso può esserci un’estrema libertà di azione per chi volesse ripulire della liquidità derivante da una precedente attività illecita. E quindi non è di alcuno ostacolo, per esempio, la configurabilità del reato del riciclaggio, in capo a chi, pur non avendo concorso nella realizzazione del reato presupposto, abbia però acquistato valute virtuali utilizzando il denaro messogli a disposizione dall’autore del delitto (a titolo esemplificativo, l’amico del truffatore, che per suo conto acquista cripto valute): Exchanger e al Wallet provider possono, inoltre, contribuire attraverso le loro azioni di trasferimento, detenzione e compravendita di denaro nel circuito di valute virtuali, alla realizzazione della fattispecie criminosa sopra descritta.

Proprio per tale motivo, sia l’attività dell’Exchanger, colui che gestisce le piattaforme di compravendita (soggetto che offre agli utenti, a fronte di una commissione, un servizio di cambio di moneta avente corso legale, metalli preziosi o criptomonete) sia quella del Wallet provider, gestore di portafogli elettronici (soggetto che mette a disposizione dell’utenza, il portafoglio elettronico in cui viene conservato il denaro virtuale), è stata disciplinata dal D.lgs. 90/2017 che recepisce nell’ordinamento interno la Direttiva UE 2015/849, obbligando l’exchanger ed il wallet provider a conformarsi alla disciplina antiriciclaggio, ossia imponendo agli stessi dei precisi obblighi di identificazione e di segnalazione.

L’anonimato, l’accesso delocalizzato, l’inesistenza di un organismo di controllo e la possibilità di aggirare la supervisione dei cambia valute virtuali, si presentano, tuttavia, come fattori in grado di aumentare esponenzialmente il pericolo di degenerazione del nuovo fenomeno tecno-finanziario nella creazione di una cd. “criminalità digital”.



 

v rapporto ottobre 2012 della BCE (Banca Centrale Europea) denominato Virtual currency schemes;

v Nota del 12 dicembre 2013 dell’ABE (Autorità Bancaria Europea) Avvertenze per i consumatori sulle monete virtuali, ABE7WRG72013/01;

v Report pubblicato nel giugno 2014 dal GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria internazionale) nella quale si evince lo status del denaro virtuale come mezzo di pagamento.

v Sent. n° 195/2017 emessa dal Tribunale di Verona

v Sent n° 264/2015 della Corte di Giustizia Europea

v Delibera n° 20660, 31 ottobre 2018, CONSOB (Commissione Nazionale della Società e la Borsa)

v D.lgs. 90/2017, obblighi per l’exchanger ed il wallet provider di identificazione e di segnalazione, relativi alla normativa sull’antiriciclaggio.

v D.lgs 231/2001 Responsabilità amministrativa degli enti.

v Fifth Directive Anti Money Laundering del Consiglio dell’Unione Europea.

v TUF

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