top of page

Crediti fiscali inesistenti e terzo acquirente in buona fede: dal caso Brescia alla giurisprudenza recente




In questi ultimi giorni ha destato clamore il caso Brescia Calcio, accusato di aver utilizzato crediti d’imposta risultati inesistenti (ossia privi di reale fondamento) per pagare imposte e contributi. In particolare, il presidente del club calcistico Massimo Cellino ha denunciato di essere stato vittima di una truffa da parte di una società terza, avendo acquistato in buona fede crediti d’imposta -rivelatisi solo a posteriori fittizi- impiegandoli in compensazione per versare i contributi dovuti. La vicenda ha innescato indagini sia in ambito sportivo, sia in ambito penale e tributario, ponendo al centro dell’attenzione il tema della circolazione di crediti fiscali fraudolenti e della tutela di chi li acquista ignaro dell’illecito.

 

La vicenda balzata agli onori della cronaca è emblematica di un fenomeno più ampio legato ai bonus edilizi (come il Superbonus 110% o il Bonus Facciate) e alla possibile creazione, tramite falsa documentazione (es. fatture per lavori mai eseguiti), di crediti d’imposta inesistenti poi ceduti a terzi.

Già la giurisprudenza recente ha chiarito che il conseguimento di un credito d’imposta privo di basi reali integra gli estremi della truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640-bis c.p.), trattandosi di agevolazioni fiscali ottenute inducendo in errore l’Erario tramite artifici e raggiri (come appunto l’uso di documentazione falsa) e ha, altresì, precisato che la formazione del credito inesistente costituisce di per sé il profitto illecito e cagiona un danno immediato allo Stato, anche se potenziale (mancato futuro incasso di imposte).

Va segnalato che su tale ultimo punto si erano registrati approcci differenti. Un orientamento meno rigoroso riteneva la truffa consumata solo al momento dell’utilizzo effettivo del credito, mentre altre pronunce avevano qualificato l’illecito come indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.) anziché truffa aggravata. La Corte di Cassazione nel 2024 ha, tuttavia, ribadito l’orientamento prevalente e cioè che l’utilizzo di false attestazioni per ottenere bonus fiscali configura artifici e raggiri tipici della truffa e porta all’applicazione dell’art. 640-bis c.p., più grave rispetto all’art. 316-ter.

Accanto al reato di truffa, nei casi concreti possono essere contestati ulteriori illeciti a carico di chi utilizza tali crediti fittizi per non pagare le imposte dovute -in primis l’indebita compensazione di crediti inesistenti (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000)- nonché eventuali reati-fine collegati (falsità ideologiche, autoriciclaggio dei proventi, associazione per delinquere se la frode è sistematica).

 

Un punto cruciale, emerso proprio dal caso Brescia, riguarda il terzo acquirente (cessionario) in buona fede di crediti fiscali poi risultati illeciti. Si tratta spesso di aziende, enti o istituti finanziari che acquistano crediti d’imposta da beneficiari dei bonus, confidando nella validità di tali crediti. Nel momento in cui però il credito si rivela inesistente perché frutto di frode, qual è la posizione di questi acquirenti?

Sul piano penale occorre distinguere sotto il profilo soggettivo: se il cessionario ignorava in buona fede l’origine illecita dei crediti acquistati e utilizzati non potrà essere ritenuto colpevole del reato di frode o di altri reati tributari legati all’emissione del credito (né di concorso nel reato originario) in quanto mancherebbe l’elemento del dolo.

Ciò non significa, tuttavia, che il terzo acquirente resti indenne da conseguenze giuridiche: la giurisprudenza, infatti, è unanime nel ritenere che la buona fede del cessionario non impedisce il sequestro preventivo dei crediti fiscali fittizi acquistati. La Cassazione, sul punto, ha più volte chiarito che, ai fini del sequestro e della successiva confisca, non si guarda alla posizione soggettiva del terzo, bensì al nesso oggettivo tra il bene (credito d’imposta) e il reato. Il credito generato da false fatturazioni è considerato “cosa pertinente al reato”, ovvero direttamente collegato all’illecito, e come tale può essere appreso dall’autorità giudiziaria anche se si trova nel patrimonio di un terzo formalmente estraneo ai fatti. In sostanza, la cessione del credito non ne “ripulisce” la natura illecita originaria: un credito nato fraudolentemente rimane tale anche passando di mano.

Inoltre, la Corte di Cassazione ha più volte sottolineato che il cessionario che abbia tratto vantaggio economico dall’operazione – caratteristica intrinseca delle cessioni di bonus, che avvengono sempre a valore inferiore al nominale, generando un utile per l’acquirente – non può qualificarsi come totalmente estraneo al reato sotto il profilo patrimoniale in quanto seppur indirettamente e inconsapevolmente, partecipa ai benefici dell’attività criminosa altrui.  E questo legame giustifica l’estensione a suo carico delle misure reali.

Il credito fittizio può, quindi, essere sequestrato e, in caso di condanna degli autori della frode, confiscato, con perdita definitiva del beneficio per chi lo aveva comprato.

In conclusione, il terzo in buona fede per quanto non subisca conseguenze penali (salvo casi di colpa grave assimilabile al dolo eventuale, ad esempio situazioni in cui avrebbe dovuto insospettirsi per sconti anomali), perde il beneficio fiscale acquistato, divenendo semmai parte civile danneggiata nel processo penale contro i frodatori.

 

Un ulteriore aspetto rilevante è la responsabilità sul piano tributario del cessionario in buona fede. La normativa di riferimento (art. 121 del Decreto Rilancio, D.L. 34/2020, e successive modifiche) prevede un meccanismo di cessione dei crediti d’imposta e ha introdotto clausole per bilanciare la necessità di prevenire abusi con la tutela di chi acquisisce i crediti legalmente. In particolare, il legislatore ha circoscritto la responsabilità solidale di fornitori e acquirenti dei crediti fiscali edilizi alle ipotesi di dolo o colpa grave nella violazione originaria. Ciò significa che, a livello amministrativo, se il cessionario ha adottato tutte le cautele previste e non vi è collusione con il fraudatore, non è chiamato automaticamente a rispondere in solido del credito non spettante.

Tuttavia, va chiarito che tale impostazione non salva il credito inesistente in sé. In presenza di credito illegittimo, l’Amministrazione finanziaria ne negherà la validità e il cessionario in buona fede, pur non subendo sanzioni amministrative aggiuntive, non potrà far valere quel credito per compensare le proprie imposte, dovendo anzi restituire quanto eventualmente già portato in detrazione.

Il caso Brescia, con il clamore mediatico e le implicazioni sportive e penali, evidenzia proprio che anche un soggetto in buona fede rischia di subire un danno economico quando rimane coinvolto, sia pure indirettamente, in schemi fraudolenti.

La lezione che ne deriva – utile sia per le imprese sia per gli intermediari finanziari – è la necessità di effettuare accurate due diligence prima di acquisire crediti fiscali e di affidarsi a circuiti controllati e trasparenti. Solo così è possibile mitigare il rischio di incorrere, inconsapevolmente, in crediti fasulli e nelle relative conseguenze legali.

 
 
 

Commentaires


logo b:n.png

Studio Legale Trizzino  Triulzi

Piazza Velasca 6, 20122 Milano

Tel +39 02 3652 8004 

Fax +39 02 3652 7977

e-mail studio@ttlex.it

bottom of page